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Tratto da "La Freccia"

Venticinque dicembre, 0 (zero)

Natale, dicono.
Lettera fuori numerazione.
Non la sento meritevole del proseguimento della sua specie.
Non riesco a scrivere.
Come se l'inchiostro avesse smesso di essere fluido e rendesse rigido il movimento della penna sul foglio, lento, difficilissimo.
Forse sono le idee che si muovono al rallentatore dentro di me. Sto facendo la moviola ai ricordi recenti.
La mia mente sembra incastrata in mezzo a cento pensieri e non riesce a scappare; sta cercando l'uscita di sicurezza ma trova solo insicurezze.
Sono angosciato. Solo angoscia mi pare il termine che meglio esprime questo senso di ineluttabilità che mi esce dagli occhi.
Van Morrison è instancabile a sfondarmi i timpani.
Mi manca l'intimità di un rifugio, un luogo sazio della mia personalità, un buco che mi assomigli, un ambulatorio segreto dove curare le mie tristezze in solitudine, la profonda dignità di una camera privata dove potermi sdraiare nel silenzioso urlare della mia anima, senza dover spiegare a nessun altro la dimensione della mia infelicità.
Questo è forse il motivo che mi porta qui, in ufficio il giorno di Natale, a scrivere in dialetto digitale su questo computer, a taglia-cucire le frasi che ho inciso col bulino della penna sul quaderno durante il giorno.
Sto asfaltando questa strada con la mia solitudine.
I miei rocciosi idealismi si stanno sgretolando, diventando ghiaia.
La mia assurda "legge di compensazione" mi sta crollando addosso con le sue pesanti pietre.
Ho più bernoccoli che capelli su questa mia utopistica testa.
Aspetta, fammi chiudere gli occhi un secondo.
E' tornata questa stupenda canzone di Van e voglio ascoltarla, stando un attimo chiuso nel mio corpo.
Voglio sentire il percorso di questa goccia sonora, voglio seguirla in ogni millimetro che percorre. Voglio giocarci, inclinando il viso leggermente e permettergli di bagnarlo scendendo in tralice.
E come sempre non provo disagio. Piangere da solo, fa parte di me anche questo, lo accetto come prova di forza.
E' acqua calda; la traccia umida che lascia sulla mia pelle, mi fa apprezzare il contatto con l'aria fredda che mi circonda, il riscaldamento è spento nei giorni di festa.
Questo liquido inarrestabile nei miei occhi odierni, reagisce agli stimoli esterni più di quanto faccia io.
Ancora non si è sciolto questo inchiostro di polvere sul quaderno, né si muove questa tastiera di pietra.
Scrivo lentamente, con lo sforzo fisico di un manovale che erge un muro per difendersi dal resto del mondo.
Ma non voglio murarmi vivo dentro di me. Già mi manca il respiro.
Come una cipolla, devo liberarmi velo su velo da queste stratificate malinconie annunciate.
E trovare qualcuno che voglia bagnarsi le mani, toccandomi.
E' già nata, io lo so e per questo non riesco a smettere di cercare.
Per fortuna era una zero. Perciò la negazione fatta numero. Il vuoto assoluto.
Rinnegabile in qualunque momento.

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PUBBLICATO "LA FRECCIA"

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